Creatività

Serialità

Molto spesso i termini serie, seriale, serialità, vengono considerati in modo negativo.

Forse perchè ricordano la produzione industriale. Che, per sua natura, è organizzata sulla quantità. Dando così, per scontato, quel che scontato non è affatto. 

Cioè, un oggetto, un prodotto fatto in serie ha poco, o nulla, a che fare con la creatività.

Non c’è niente di più profondamente sbagliato di questa affermazione.

Dietro ad ogni realizzazione industriale, come pure artigianale e ancor di più artistica, c’è sempre un grande lavoro di preparazione, di studio, di progettazione, di prove, di ricerca di soluzioni brillanti per minimizzare e superare potenziali problemi che potrebbero andare a scapito della qualità finale di un qualunque manufatto.

Si confonde la serialità con la non creatività.

Si denigra, aprioristicamente, una pratica, il cui scopo principale, tra tanti altri, è quello di produrre molti oggetti che, sfruttando le cosiddette economie di scala, siano, economicamente, alla portata del maggior numero di persone possibile. 

Consideriamo l’esempio solitamente più citato: la produzione della prima automobile in serie, immaginata e realizzata proprio perchè il suo acquisto fosse accessibile alla maggioranza degli americani: la Ford modello T.

Una visione. Che di per se stessa contiene già in se un’ azione creativa.

Alla base di tutta quella operazione, c’è stato un sogno, un lampo di genio e quindi un’azione creativa del sig. Ford. Mettere quanti più americani possibile nelle condizioni di poter acquistare un’automobile. Considerato, già allora, simbolo del raggiungimento del successo nella vita privata e pubblica. Per realizzare questo sogno, ha scomposto un grande enigma in tanti piccoli problemi. Molto più facili da affrontare e risolvere.

A cascata, è stato, poi, il turno di ingegneri e designers che hanno dovuto ottimizzare la forma, le misure, le prestazioni affinché tutto l’insieme risultasse il più gradevole, funzionale ed economico possibile. Anche questo, richiede grandi doti di creatività. Non basta tirare qualche linea, fare qualche calcolo, limare di qui, tagliare di la e il gioco è fatto. Tutt’altro. Alla base di ogni iniziativa c’è sempre un pensiero, un’idea, un concetto  astratto che affonda le proprie radici in un immaginario e in una visione fortissimamente creativa.

Un metodo di lavoro

La fotografia

La stessa considerazione negativa viene attribuita, pari pari, anche ad una attività che, di per se, solitamente, viene percepita come fortemente creativa: la fotografia.

In alcune occasioni, infatti, la frase più ricorrente è la seguente:

… ” certo, a fare tante foto, prima o poi qualcuna giusta/bella viene fuori “…

…”In questo modo, sono capace anch’io di fare delle belle foto” …

Tipica affermazione di chi non conosce affatto il lavoro del fotografo.

Soprattutto dei fotografi che hanno a che fare con le persone.

Principalmente nel settore moda e ritratto. Ma non solo.

Evito, perciò, qualunque tipo di commento a quelle affermazioni. Potrebbe essere considerato poco elegante. E, qualcuno, molto permaloso, potrebbe anche offendersi.

Mi voglio soffermare solamente sul concetto di cui parlavo all’inizio: la serialità.

Se un fotografo come me e come la gran parte dei miei colleghi scatta centinaia/migliaia di foto ogni volta che realizza un servizio fotografico, il motivo è molto semplice e non ha niente a che fare con la speranza di … azzeccare … lo scatto giusto.

Si tratta, invece, di un metodo di lavoro.

Una tecnica che serve principalmente alla persona fotografata oltre che al fotografo stesso.

Permette a coloro che sono fotografati di percepire un ritmo.

Quasi fosse una colonna sonora che riesce ad ispirare pose, espressioni, atteggiamenti in sintonia con le indicazioni del fotografo e le richieste del cliente.

E’ un modo per … scaldarsi, carburare … Avere il tempo adeguato per organizzarsi e dare il massimo delle proprie qualità di fronte alla macchina fotografica.

Laddove, invece, la scena da e il soggetto da fotografare siano statici e praticamente immobili, il bravo fotografo professionista, una volta sistemata la scena, le luci e ottimizzati tutti i parametri tecnici, non ha bisogno di nient’altro che fare click. Un solo click.

E, senza alcun tipo di serialità, otterrà la foto perfetta.

Oggi, con la digitale non devo preoccuparmi del costo per ogni scatto e faccio molti più click rispetto all’equivalente analogico. Con la pellicola, facevo meno scatti. Ma, seppur con numeri ridotti, utilizzavo sempre lo stesso metodo delle foto in serie.

Il regista

Il fotografo

Se quanto appena detto è vero per modelli e modelle professioniste, provate a pensare alle difficoltà che devono affrontare i non professionisti.

A maggior ragione, per tutti costoro, avere momenti di adattamento e ricerca della migliore posa o espressione, risulta fondamentale.

Se il fotografo professionista, dopo aver organizzato la parte tecnica nel migliore dei modi, reitera, più e più volte, l’azione del fare click, lo fa per creare l’atmosfera giusta. Lo fa per tenere sulla corda il soggetto che ha di fronte. Incitandolo e stimolandolo a mantenere viva e attiva l’attenzione per la scena che sta interpretando.

Un pò come capita con i bravi registi che, seppur di fronte a bravi attori, danno continuamente indicazioni per creare la giusta …tensione… utile a stimolare la creatività.

E, per esperienza diretta, mia e di tanti miei colleghi, scattare tante foto con un ritmo incalzante permette anche di creare l’equivalente di un metronomo per scandire il ritmo della scena. Molto utile al soggetto fotografato per … sentire il momento … e cavalcare, istintivamente, l’onda. Sia emotiva che espressiva.

Come una volta

Provini a contatto

La foto a corredo di quest’articolo, ad esempio, calza proprio a pennello.

A prima vista, ricorda i provini a contatto del periodo della fotografia analogica.

Un modo molto semplice ed intuitivo che permette all’osservatore di individuare velocemente quale sia lo scatto migliore in un certo gruppo di foto.

La serie che ritrae questo attore è frutto del veloce e semplice briefing iniziale durante il quale gli ho suggerito di muoversi ed esprimersi nella massima libertà.

Di non preoccuparsi di eventuali ripetizioni nella posa o nell’espressione, ma, di mantenere sempre un approccio estremamente dinamico.

Io, al contempo, mi sarei occupato di supportare e accentuare questo dinamismo dandogli il ritmo con i miei incitamenti e il mio continuo click.

Proprio così. Con il continuo click.

In una scena di questo tipo, se io avessi scattato lentamente, senza ritmo e senza alcun tipo di interazione, anche solo verbale, avrei probabilmente indotto questo attore a pensare che, forse non stavo scattando perchè qualcosa non andava bene.

Oppure, forse, le pose e le espressioni che faceva non erano giuste.

Avrei corso il rischio di smontare la tensione e l’attenzione del momento.

E, le foto finali non avrebbero suscitato la benché minima attenzione e curiosità nello spettatore.

Le apparenze ingannano

Conclusioni

Senza alcuna vena polemica, quanto sopra, non è e non voleva essere, in alcun modo, una difesa aprioristica della categoria.

Piuttosto, l’ho immaginato come un contributo ad evitare di rimanere intrappolati nei luoghi comuni e per non fermarsi alle apparenze e alle prime impressioni.

Vale sempre la pena di …leggere fra le righe …